Si chiama biometria ed è una scienza che ha aperto moltissime strade soprattutto nel mondo dell’innovazione.
L’uomo è misurabile e catalogabile in tutte le sue forme e proprio da questa disciplina deriva l’identificazione delle persone. Al giorno d’oggi questa identificazione è effettuata tramite macchine sofisticate, come computer, telecamere e smartphone.
Come sappiamo è possibile utilizzare impronte digitali e riconoscimento facciale per sbloccare i nostri dispositivi, Facebook ha inserito nell’algoritmo un sistema per riconoscere automaticamente le persone in una foto prima ancora che vengano taggate da noi ed a quanto pare vorrebbe inserire anche qualcosa di simile ad un Face ID per sbloccare l’account. Questo sistema è percepito da parte degli utenti come un risparmio di tempo e di password, ma in molti ha fatto sorgere alcune domande, soprattutto legate alla privacy: come fa il sistema a riconoscermi? E dove finiscono tutti i miei bio-dati?
Come per tutti gli altri nostri dati, anche le nostre facce finiscono nei server delle compagnie. Questo comporta una violazione della privacy? La risposta è sì se l’utente non sa che il suo volto – nel caso del riconoscimento facciale – è conservato nei database, pubblici o privati che siano, e soprattutto sì se l’azienda poi ne fa un uso improprio. Ci sono già stati scandali a riguardo, che hanno coinvolto sia enti pubblici come le Università di Stanford e la Duke e aziende private come nel caso di FaceApp, l’app che ha spopolato per alcune settimane e che modifica il nostro volto.
Queste manipolazioni dei volti e i database di persone possono portare a quelli che vengono chiamati deepfake video ottenuti sfruttando l’AI. Grazie all’intelligenza artificiale infatti, ultima frontiera per gli studi informatici, si è giunti a creare video con persone finte difficilmente distinguibili da quelle reali.
Stiamo lentamente scivolando in un’era di sorveglianza tecnologica? Ogni nostro dato online può essere controllato, rivenduto e utilizzato, ed è quello che sostiene Shoshana Zuboff nel suo nuovo libro Il Capitalismo della Sorveglianza. Ma è anche vero che abbiamo a disposizione moltissimi strumenti per riprenderci il controllo dei nostri dati e utilizzare al meglio la rete, come i sistemi TOR, le VPN, le impostazioni della privacy e sui cookies di tracciamento. E se sicuramente ci stiamo dirigendo verso una nuova trasformazione digitale, questa dovrà essere accompagnata da una nuova etica creata per e da gli utenti dei dispositivi tecnologici.